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Disappear Here

Il miglior film visto a casa a marzo è del 1968. Il miglior film visto al cinema è addirittura del 1958. La mia canzone preferita del momento, quella che ascolto ossessivamente, dura 9 minuti e 12 secondi. Sto rileggendo l’opera integrale di Bret Easton Ellis.

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E insomma, c’è una traduzione in uscita (gran bel libro), ce n’è una in consegna (romanzo delizioso), e anche una in cantiere (capolavoro). Sorprendente, come minimo, se si pensa che la firmataria delle tre suddette traduzioni, sei mesi fa andava sbandierando ai quattro venti che si era stufata, che avrebbe cambiato mestiere, e cercava un lavoro che non avesse niente a fare con l’editoria. Ma, in fondo, tutte le volte è la stessa storia. Io, per dire, comincio ogni nuovo libro con molto entusiasmo, a metà non ne posso già più e mi lamento e patisco, quando arriva il momento di iniziare la revisione mi prende il panico ma poi, nella fase finale, rileggendo per l’ultima volta, come per miracolo, raggiungo una specie di nirvana. Ho capito che la traduzione è un po’ una condanna. Se entri nel tunnel, poi, non è facile uscirne. Però se qualcuno mi fa tradurre IL libro, prometto che smetto.

Scene quotidiane

Un libro, un caffè, poi un altro, un posacenere quasi pieno, un bicchiere d’acqua a volte.

(Olivier Jacquemond, Acrylique)

Alla Fnac Saint-Lazare.
Personaggi: una traduttrice (T) e una cassiera (C).

C: Salve.
T: Salve.
C: Ah, è favolosa questa!
T: Eh sì, ho visto. Quella che uso al momento, che mi hanno prestato, è utilissima ma questa mi piace anche di più, ci sono anche i percorsi e le fermate degli autobus, le stazioni del Velib’…
C: Sì, tra l’altro è nuovissima. E voglio prenderla anch’io perché è più completa di quella che ho…
T: Io, che mi sono trasferita da poco, non posso farne a meno…
C: Ah! A chi lo dici? Non sai quante volte mi ha salvata!
T: Eh, anche a me! E dire che non sono proprio un fenomeno a leggere le cartine…
C: Sì, vabbè, ma la prendi, la giri, la rigiri, e alla fine ti raccapezzi… Hai la carta Fnac?
T: No.
C: Sono sei euro e cinquanta.
T: Ecco. Grazie e buona giornata.
C: Buona giornata anche a te.

Chez Chiarà

Giacché qui a Parigi, un po’ per necessità e un po’ per piacere, passo più tempo del solito ai fornelli, inauguriamo una nuova rubrica: “Chez Chiarà”, consigli di cucina per chi ha mediamente fretta ma non vuole rinunciare a mangiare bene.

Pasta al forno semplice

Ingredienti:

maccheroni
salsa di pomodoro
melanzane
mozzarella
parmigiano
olio
sale
zucchero

Preparazione:

Friggere le melanzane precedentemente tagliate a cubetti e lasciarle riposare in un piatto rivestito di carta assorbente;
Scaldare la salsa di pomodoro (se si usa la salsa già imbottigliata, aggiustare al gusto con sale, zucchero e olio d’oliva);
Tagliare a cubetti la mozzarella (o, eventualmente, la provola dolce tipo Galbanino);
Cuocere i maccheroni;
Aggiungere ai maccheroni cotti e scolati la salsa di pomodoro, le melenzane e abbondante parmigiano, mescolare e spostare il contenuto in una teglia da forno (o in una vaschetta d’alluminio);
Aggiungere la mozzarella e mescolare;
Infornare e aspettare che la mozzarella si sia sciolta e la salsa si sia leggermente asciugata (a occhio e croce 10-15 minuti nel forno preriscaldato a 2oo°C);
Fare riposare una mezz’oretta prima di gustare.

Tempo di preparazione e cottura:
Grossomodo equivalente alla durata del Best of di Leonard Cohen.

Vite parallele

Palermo, Italia

Sveglia flessibile. Caffè mattutino e tradurre fino a pranzo. Poi pausa Uomini e Donne e caffè pomeridiano. Tornare a tradurre fino a cena. Poi letto, lettura e – in qualche raro caso – tv. Varianti: pomeriggio caffè al bar o aperitivo, a seguire cena con o senza dopocena oppure solo sera cena con o senza dopocena e perfino, alle volte, dopocena senza cena, di solito scattando foto estemporanee ai tavoli dominati da bicchieri vuoti e posacenere traboccanti.

Paris, France

Sveglia fissa (08:15). Caffè mattutino e tradurre fino a pranzo. (Preparare il pranzo e lavare i piatti). Poi tornare a tradurre, con intermezzo di pausa caffè. E ora d’aria (commissioni varie, tipo: supermercato, biblioteca, posta, tabaccheria, grosso modo). Quindi casa. (Preparare cena e lavare i piatti). Poi laboriosissima costituzione dei dossier di ammissione a una serie di Master. Divano, cinque minuti di tv, letto, cinque minuti di lettura. Varianti: pomeriggi “mondani” caffè al bar o aperitivo, o giri per negozi, o passeggiate lungo la Senna o lungo il Canal Saint-Martin, parlando con l’amica o l’amico di tutto un po’.

[Tra dieci giorni, tutte le scartoffie per i Master saranno un lontano ricordo, per cui, nella mia routine, qualosa cambierà. Si spera.]

Paris Fantasy

J’ai quitté Paris en 2003, le 4 août. J’ai quitté le début du vingtième siècle pour entrer de plain-pied dans la seconde moitié du vingtième siècle. Et qu’importe si nous sommes entrés dans le troisième millénaire, j’ai quitté Picasso, Verlaine, Valéry pour rencontrer les fantômes de Basquiat, Warhol, Ginsberg et Lou Reed, et me laisser posséder par leur légende. J’ai troqué des noms de rues contre des numéros d’avenues, des bistrots contre des Starbucks Coffee, Bagatelle contre Central Park, le 17 pour le 911. J’ai quitté Paris afin de suspendre un avenir bien engagé sur son cintre, et le coincer au fond d’une penderie, à l’abri de la lumière et de la poussière, quelque part entre mes rêves et mes regrets. À moins que je n’aie quitté Paris afin de prendre cet avenir de vitesse, de lui faire tourner la tête et perdre la raison.

Avevo in testa questo libro, in particolare questo incipit, mentre mi accingevo a partire. Poi, una volta arrivata, l’ho tirato fuori dalla valigia – una valigia, insolitamente per me, vuota di libri: solo questo e quello a cui sto lavorando al momento – e l’ho letto, riletto, in un momento importante. L’ho anche spiegato a Olivier, qualche giorno fa, davanti a un caffè migliore del previsto, che sì, la prima volta mi era piaciuto e anche molto, ma solo la seconda volta, solo questa volta, l’avevo capito davvero. Perché l’empatia è un elemento fondamentale, imprescindibile direi, ed è adesso che questo libro mi racconta, almeno in parte.
Io ho lasciato Palermo per Parigi e, come scrivevo qualche giorno fa a un paio di amiche, mi sento a casa – qualsiasi cosa significhi casa. Durante questa parentesi che si chiuderà a breve per riaprirsi presto, alla fine dell’estate, in maniera pressocché definitiva, ho tantissime cose da fare: prima il lavoro, che vince su tutto, poi le scartoffie, che comunque sgomitano per guadagnarsi la priorità, e poi, poi, poi. Evito, il più possibile, almeno per ora, di lasciarmi inghiottire dalla città. Per quello c’è l’autunno, e l’inverno, e la primavera, e l’estate e tutta la vita che verrà.

Orlanda

Ma incarnarsi in un corpo intatto! Cambiare mondo facendo tre passi! Io è un altro? Io è mille altri e giacché quest’io mi stanca, perché non posso abbandonarlo?

Leggete l’incipit. A quel punto vi verrà voglia di continuare.

Come si cambia

Anni Zero: London calling; non mangio niente che provenga dal mare; leggo solo esordienti e/o emergenti italiani.

Anni Dieci: Paris, à nous deux; a giorni alterni considero il crostaceo; leggo soprattutto americani, di preferenza morti o molto vecchi.

Ho la vaga impressione che se una qualsiasi università americana facesse una ricerca sui lavori più ambiti dagli italiani, al terzo posto, subito dopo l’imperatore del mondo e il dipendente della Regione siciliana, ci sarebbe il traduttore letterario. Assodato questo, mi chiedo perché, e ci metto un punto interrogativo gigantesco. Io, per dire, faccio la traduttrice letteraria ma, se se ne presentasse l’occasione, credo che non esiterei a cambiare mestiere. Ci sono periodi, tanto per capirci, che mi viene nostalgia del call-center, dove vegeti per un tot di ore al giorno, potendoti permettere il lusso di tenere in stand-by il cervello, hai il tuo bello stipendio a fine mese, con tanto di ferie pagate e compagnia. Il problema – e secondo me è un problema grosso, se non grossissimo – è che attorno alla traduzione, specie a quella letteraria, c’è un alone di romanticismo eccessivo e, per lo più, falso. Se, per esempio, qualche anno fa mi avessero spiegato quale sarebbe stata la mia vita, magari ci avrei rinunciato. Tanto per cominciare, a meno che non lo si faccia per hobby, tradurre è un lavoro come qualunque altro: devi alzarti la mattina presto, sederti al pc, rimanerci incollato per un pezzo e macinare la tua razione giornaliera di cartelle. Il più delle volte, passi mesi in compagnia di robaccia: libri senza capo né coda, scritti coi piedi, che ti costringono perfino a lavorare di fantasia, per tentare di dare un senso a qualcosa che un senso proprio non ce l’ha. Sei costretto a dire addio al tempo libero, nel quale bene che ti vada finisci per leggere – la bibliografia integrale, in originale e in traduzione, dell’autore di cui, per caso, ti hanno affidato il quarantacinquesimo volume; una serie di romanzi citati in una serie infinita di recensioni, perché il tuo autore del momento si ispira a quello e ricorda quell’altro; quel volume sulle grandi calamità della storia, perché sei alle prese con un romanzo nel quale ci sono un paio di inondazioni e vuoi essere sicura di usare tutti i termini giusti; eccetera. Rischi di non avere più una vita sociale, perché quella sera davanti a un piatto di fettuccine all’astice o quell’altra davanti a un flan di verdure, mentre i tuoi commensali erano immersi in una conversazione assolutamente mondana, uno se n’è uscito con la parola che cercavi invano da giorni e tu, per non perderla, hai tirato fuori il taccuino e te la sei appuntata. Senza contare certi logoranti rapporti con i revisori, o la senzazione di essere una mendicante quando, in maniera più che sacrosanta, solleciti un pagamento già in ritardo di un paio di mesi. Certo, ogni tanto c’è un lampo nel buio, ti capita quel romanzo bellissimo eccetera. Ma dopo un po’, cominci a pensare che, alla fine della fiera, forse, non ne vale la pena.